Tolkien in Italia,
fondamenti per principianti.
Nel 2006 alla discussione
della mia tesi di laurea sulla storia del fantasy, un membro della commissione
mi chiese perché Tolkien in Italia fosse considerato un autore di destra.
La questione ha ancora
degli sprazzi e chiarire un paio di punti può servire a capire meglio questa
anomalia tutta italiana che ha strappato Tolkien dall’ambito esclusivamente letterario
per buttarlo in mezzo ad una posticcia dimensione politica
Immaginiamo che prima
della generazione degli appassionati di fantasy come intrattenimento, dei
fruitori di giochi di ruolo e per computer, dei romanzi, del fandom, del
merchandise, dei film, dei fumetti, blog e serie tv ci fosse altro.
Prima di questo tempo,
l’epica che faceva sognare era il Far West dei film americani e dei western
all’italiana, o di qualche film storico coi barbari dalle parrucche approssimative
e dalle scuri di gomma, anni in cui la fantasia era solo roba da bambini che si
lasciava dopo l’adolescenza insieme ai calzoni corti, e a quei trastulli che i
grandi chiamavano “i pupazzi” o “pupazzi animati”. Anni in cui in U.S.A e
Giappone, ma anche nella Francia liberale stavano già portando alla costruzione
di vere e proprie potenti industrie
dell’intrattenimento per ragazzi.
Immaginiamo che, da noi,
in questi anni le cose veramente importanti, (oltre la figa) erano la lotta
politica, il lavoro, il calcio, il film popolari, la cultura alta, insomma un
tempo in cui il mondo degli adulti era roba
seria, al massimo si poteva leggere un ‘giornaletto’ in bagno o in treno.
Immaginiamo che,
all’epoca, i comunisti si disinteressassero a qualunque cosa non portasse una
presa di coscienza proletaria e che la destra, non potendo più rievocare
apertamente il ventennio e i suoi miti, fosse assetata di figure e immagini
‘forti’ e si mettesse alla ricerca di nuovi idoli, di immagini proprie, un
mondo di contenuti, sì conservatori, ma anche un poco sinistri e militareschi,
in cui si confondevano Tradizione (con la T
maiuscola) e tradizionalismo esoterico.
Ai tempi in cui certi
temi erano tabù, zeppati nel grande buco del rimosso nazi-fascista, tra i
destrorsi i concetti tipici come patria, valore, fratellanza d’armi si mescolano
ad altri linguaggi in cerca d’autore, rievocanti il sangue e la razza, il comando, la purezza,
ma anche l’idea stessa di origine, tradizione e azione, formando un immaginario
vicino più agli estremismi internazionali che al “conservatorismo” normale
degli altri paesi democratici, un immaginario ben definito che chiameremo d’ora
in poi Tradizionalismo Esoterico.
Si può definire Tradizionalismo
poiché nostalgico (più vicino ai simbolismi paganeggianti celtico-nazisti che
alla retorica fascista della Romanità e al culto futurista della modernità),
proteso verso una ricerca di un’essenza antica profonda e ideale, della
dimensione ancestrale dell’esistenza, volendo anche pagana, ed Esoterico
in quanto promuove la ricerca di segreti nascosti nel tempo, celati nell’epica
e nel mito, un codice che solo ‘l’iniziato’ può scovare e usare per purificarsi dalle sozzure del presente
socialista o liberista.
Quale sarà il mezzo
mitico di questa ricerca?
Qual è quell’entità in
grado di riportare, attraverso le ere, la fragranza ontologica delle cose a chi
ne conosce i segreti? Cosa ci permette di cogliere in uno sguardo l’essenza di
aspetti molteplici, complessi e celati?
Signore e signori, è il simbolo!
Quale potente magia è
racchiusa in questa cosa chiamata simbolo
, un’immagine che passa indenne attraverso secoli e millenni serbando i suoi
segreti e che riesce a rinfrancare il Tradizionalista Esoterico e a metterlo in
contatto con la potenza della sapienza antica! Che il Simbolismo sia!
E cosa prova il nostro
‘Tradizionalista Esoterico’ quando nella cupezza degli anni di piombo, in cui
tutto è militanza, compare, snobbato dal resto dell’Italia, il Signore degli
Anelli, prima edizione completa Rusconi Milano 1970?
Eureka! Ecco sfilare in
parata, tutti i motivi, tutti i temi e tutti i simboli che si agitano nel mondo
del Tradizionalista Esoterico.
La lotta, la razza, la
stirpe, la guerra, l’eroismo, la ricerca, il sangue, la fratellanza, e poi, il
drago, l’albero, la stella, la montagna, il mare, il sole, l’anello!!!!! E chi più ne ha più ne metta.
Il signor Tolkien aveva,
inoltre, passato una vita a scrivere centinaia di pagine costruendo mondi e
popoli e lingue e storie mitiche, piene di divinità, scontri, demoni,
superuomini, flagelli...
Quale migliore scrigno di
contenuti simbolici!
“Non tutto quel
ch'è oro brilla,
Né gli erranti sono perduti;
Il vecchio ch'è forte non s'aggrinza,
Le radici profonde non gelano.
Dalle ceneri rinascerà un fuoco,
L'ombra sprigionerà una scintilla;
Nuova sarà la lama ora rotta,
E re quei ch'è senza corona”
Né gli erranti sono perduti;
Il vecchio ch'è forte non s'aggrinza,
Le radici profonde non gelano.
Dalle ceneri rinascerà un fuoco,
L'ombra sprigionerà una scintilla;
Nuova sarà la lama ora rotta,
E re quei ch'è senza corona”
Cosa pensò il nostro
Tradizionalista Esoterico leggendo Tolkien?
Mh.. Effettivamente il profano (non iniziato) non sa
distinguere l’oro della conoscenza dal metallo vile dell’ignoranza.
Accidenti, le radici che non gelano, è proprio calzante!
Attraverso le radici forti della tradizione svelata ai
volenterosi gli erranti non sarebbero più stati perduti, dalle ceneri sarebbe
rinato il fuoco dell’azione (o la fiamma) e la lama sarebbe stata riforgiata e
pronta per l’avvento di una nuova purezza per i re senza corona.
Senza dirsi più neofascisti si poteva
parlare grossomodo delle stesse cose, ancora di più si poteva parlare con chi non era ancora
addentro al percorso di Coscienza Tradizonalista: quale lettura sarebbe stata
miglior propedeutico alla filosofia del tradizionalismo di Julius Evola &
soci, guru dell’idealismo magico, del concetto di individuo assoluto e a
tutto l’universo filosofico della tradizione esoterico-simbolica che
pericolosamente si collegava all’arianesimo e alle teorie che tanto hanno
distrutto il novecento?
Poi per finire, se andava bene per
Tolkien, allora tutto ‘il fantasy’ che veniva stampato, sull’onda della moda
diromprente in america e gran bretagna, [1]
si poteva leggere in chiave Esoterico Tradizionalista. Sarebbe potuto essere “Simbolismo-for
dummies”, primo stadio per accedere al potente mondo inziatico del Simbolismo della
Tradizione, che vuole i simboli come contenuti segreti per i puri iniziati.
Questo clima ideologico è risultato
fortemente coriaceo se perfino negli anni novanta Alex Voglino scriveva un’introduzione di questo
tipo, ad una antologia di racconti fantasy di puro intrattenimento, dell’editrice Nord:
“Ne deriva che – come adombrato da Eliade già
nel “trattato di Storia delle Religioni” – è possibile, per chiunque abbia
adeguata conoscenza e cultura in materia di linguaggi simbolici, ritrovare gli
stessi in seno anche alle forme più laiche, degradate e moderne di narrazione
di ispirazione mitica. Ne consegue, anzi sia detto una volta per tutte, che
questa forma di interpretazione è la sola completa ed esauriente applicabile a
qualunque genere di narrativa immaginaria che derivi anche solo alla lontana,
anche solo per un eco remota, dal patrimonio mitico dell’umanità.
Tante
incomprensioni, tante storiche cantonate, valga per tutte l’innamoramento degli
hyppies americani per il Signore degli Anelli di Tolkien a metà degli anni ’60,
si spiegano così: con il tentativo di avvicinarsi a una materia in realtà
estremamente complessa e sottile come la narrativa fantastica, con strumenti o
-peggio- con la supponenza gretta degli strutturalisti e di quelli che
pretendevano di spiegare Dio con Freud.”
Praticamente se il simbolo
sopravvive in qualunque forma, tutto diventa una porta d’accesso al patrimonio
mitico dell’umanità. Qualunque opera ci parla di una natura “in realtà, estremamente complessa e
sottile”, possiamo, con un gesto, collegare, che so, l’opera alchemica di
Raimondo Lullo con la prima trilogia di Guerre Stellari e magari la seconda
trilogia con il ciclo del graal di Chrétien de Troyes, con il Parsifal di Wolfram von Eschenbach, con Indiana Jones o Dan Brown come se fossero modi diversi di
guardare la stessa verità, o peggio come se fossero propedeutici gli uni agli
altri verso una Verità sempre più complessa e slegata dalle storie che
portano il simbolo e peggio ancora, indipendentemente dall’intento dei
rispettivi autori...
Questo sistema che io ho
esasperato, ma neanche troppo, ha un nome, si chiama Tradizione, con la ‘T’
maiuscola. E’ un concetto derivato dallo studioso esoterista francese di metà
ottocento Renè Guenon e ripreso dagli esponenti e sostenitori dell’’Idealismo
Magico’, Julius Evola in primis, tanto caro ai sostenitori dell’interpretazione
simbolica di Tolkien.
Cosa è questa Tradizione? Per farla breve, esiste un patrimonio mitico,
ancestrale che si chiama Tradizione, questo patrimonio è quasi una cosa viva,
una ‘idea pura’ quasi in senso Platonico. Un insieme incorruttibile di
significati che vagano pulsanti e assoluti nell’universo delle idee: qualunque
espressione del mito, dai miti della Bibbia, alle sorpresine coi “mostrini”
nell’ovetto Kinder, è manifestazione più o meno corrotta e derivata di questa
Tradizione.
Chiaramente al volgo non
iniziato, capace solo di mangiare e riprodursi, il mostrino di plastica ‘made
in China’ e la Bestia biblica dell’apocalisse sembrano due cose separate,
diverse.
Invece chi ha intrapreso il
percorso della conoscenza, pardon, Conoscenza, riesce a comprendere l’intima connessione tra due entità della Tradizione che differiscono solo in apparenza. Entrambe sono ‘La Bestia’ ed
entrambe provengono dall’idea mitica di bestia che ansima, ruggisce e getta
fuoco rosso dagli occhi nella Tradizione
dall’alba dei tempi.
Di più, l’Iniziato arriva a
partecipare della Tradizione, a comprendere la non dualità tra sé, (essere
superiore, puro, nobile spiritualmente, guida del prossimo e condottiero) e la
Tradizione stessa, a fondersi in un tutt’uno rigenerante per tornare pronto al
presente per attuare un’azione concreta sociale, poltica, eroica risolutiva e
anche, diciamocelo, un ‘po’ maschia’, per cui Epos e azione politica si fondono
un tutt’uno retorico come ai tempi del
nazifascismo, o come in una brutta copia dei nazisti di Indiana Jones.
Non possiamo neanche parlare
serenamente di Archetipi, in quanto mi sembra che, ai tradizionalisti gli
psicoanalisti e le idee sull’inconscio collettivo stiano un po’ sulle balle, in
quanto i vari Freud e Jung osano sostenere, in soldoni, che è la mente dell’uomo
che crea il mito e non viceversa.
Quindi insomma, chi se ne fotte
della letteratura o degli autori, a chi interessa il perché un tizio scrive
qualcosa? del come parla di un elfo e di una spada? e perché un altro tizio in
modi e tempi diversi parla di un’altra spada e di un altro elfo? Perché
prendere in considerazione cose tipo l’opera, la poetica del suo autore, temi e
contenuti, il linguaggio, analizzare i testi e i periodi storici, quando
possiamo mettere in relazione tutte le palle, le croci, i cerchi e i triangoli
che appaiono nella letteratura e nell’arte alla ricerca nientemeno
dell’affresco universale del Grande Architetto?
Certo la fortuna e la lettura di
un’opera dipende anche da come si presenta e colloca editorialmente.
L’Italia presa nei suoi
dibattimenti socio politici forse non aveva la casella per collocare un’opera letteraria
di intrattenimento che non fosse manierismo didascalico clericale, o
giornaletti per massaie o ragazzi.
Certamente la prefazione
originale inglese di Tolkien al Signore degli Anelli era un po’ diversa e
accessoria al testo di quella che in Rusconi si decise di mettere all’edizione italiana
affidata ad Elémire Zolla che voleva essere una gigantesca imbeccata
simbolico-antropologica al come leggere il testo. Magari semplicemente da noi
non c’era ancora una maturità per affrontare il fantasy o la letteratura di
genere coi metodi della critica letteraria normale. Sta di fatto che i due
testi vanno in direzioni opposta.
Mentre Tolkien asserisce
chiaramente che “Per quanto riguarda qualsiasi significato
più profondo o‘messaggio’, l’opera nelle intenzioni dell’autore non ne ha. Non
è allegorica né riguarda temi di attualità”; Zolla nella sua
introduzione all’edizione italiana ci mette di tutto e di più, straparla, non
solo perché anticipa praticamente il finale dimostrando di infischiarsene di
intralciare il rapporto dell’opera coi lettori, della trama e dell’aspetto
narrativo del romanzo, ma anche perché, sfoderando un armamentario smisurato di
citazioni e riferimenti letterari, mette tutti i pezzetti possibili della trama
del libro in relazione con altrettanti pezzetti di opere di altri, offrendo un
ventaglio possibile di interpretazioni e relazioni quasi ipnotico.
Il “povero” Tolkien quando uscì il Signore degli Anelli nel 1954, si era limitato, visti
i tempi, a preoccuparsi solo che l’opera non fosse vista come allegoria diretta
della geopolitica dei suoi anni, delle guerre mondiali, che Sauron Fosse Hitler, Saruman Stalin e
Elrond Churchill, e a rifiutare letture
che cercassero qualcosa di più in profondo di quello che c’è alla luce del
sole, e che a nostro avviso basta e avanza per fare la fortuna del signore
degli anelli: ovvero l’opera in sé...
Da buon conservatore del ceto medio inglese,
suddito di sua maestà e uomo dalla profonda spiritualità cattolica romana,
Tolkien non avrebbe potuto pensare all’interpretazione Simbolica italiana della
sua opera neanche nei suoi deliri più sfrenati. Mai ne avrebbe immaginato le
derive più strane, tipo che i suoi personaggi sarebbero diventati icone dei
giovani neofascisti italiani che avrebbero fatto volantinaggio per decenni con raffigurati i guerrieri della Terra di Mezzo visti come
camerati inneggianti all’Azione! o che i campi estivi del F.U.A.N. (giovani
dell’MSI) si sarebbero chiamati ‘campi hobbit’.
C’è una similitudine tra i due errori, quello
dell’interpretazione simbolica italiana e di quella allegorica temuta da
Tolkien: è il fatto di cercare oltre il testo.
L’idea che un romanzo d’intrattenimento, evasione
ed immaginazione non possa valere di per sé stesso, e che conti solo in quanto
veicolo per messaggi più ‘importanti’ e, ‘seri’.
Certamente questo era comune nella prima metà del novecento e l’autore del
Signore degli Anelli ci teneva a sottolineare la differenza tra la fuga del
disertore (dalla realtà) e l’evasione del prigioniero, nel senso di evadere
dalla “schiavitù degli oggetti”, da un certo tipo di modernità. Tolkien è chiaro: il fuggitivo si rigenera
nella fiaba e nella fantasia, nello stupore infantile, nella sospensione del
cuore, insomma in un momento prettamente poetico, intimo ed emozionale e mai
vengono menzionati macchinosi e sinistri processi filosofico-simbolici.
J. R. R.
Tolkien, insieme al altri autori del suo tempo come C. S. Lewis, Twain,
Lovecraft, Robert E. Howard, semplicemente faceva narrativa di intrattenimento
per giovani e adulti, usava ‘il fantastico’ come linguaggio di elezione così
come, Verne usava la scienza, Salgari usava l’avventura o Dickens e Dostoevskij
usavano la società a loro contemporanea; Tolkien difese il fantasy come linguaggio
per adulti in un opera fatta praticamente apposta: ‘On Fairy Tales[2]’.
Ecco cosa pensava in merito“..la
connessione istituita tra bambini e fiabe non è che un accidente della nostra
storia. Le fiabe, nel moderno mondo alfabetizzato, sono state relegate alla
stanza dei bambini, così come mobili sciupati o fuori moda vengono relegati
nella stanza dei giochi, soprattutto perché gli adulti non vogliono più
vederseli d’attorno e non si preoccupano se vengono maltrattati.”
L’interpretazione Simbolica compie a mio parere lo stesso errore anche
oggi, in anni politicamente meno impegnativi, quando rifiuta ostinatamente di
affrontare Tolkien da un punto di propriamente letterario. Per esempio, la
replica di Gianfranco de Turris[3] all’articolo di Arduini apparso
recentemente sull’Unità e su Carmilla[4], difende il punto di vista
simbolico dicendo che: “In
tal modo si riesce a dare uno spessore a testi che altrimenti resterebbero,
come Lo
Hobbit e ancor più Il Signore degli Anelli, non tanto favole per ragazzini quanto
avvincenti storie di avventure per adulti, e nulla più. Invece sono qualcosa d’altro,
altrimenti – ecco la domanda cui i vari Arduini non sono capaci di rispondere –
non si spiegherebbe il loro duraturo successo di oltre 70 e 50 anni
rispettivamente presso generazioni successive, con milioni di copie in tutto il
mondo anche in nazioni non occidentali, che esisteva già prima dell’uscita
della trilogia cinematografica. Un successo non contingente né superficiale
dovuto “alla moda”, ma profondo, sentito, coinvolgente, extraletterario (ed è questo a distinguere Il
Signore degli Anelli da altri famosissimi long sellers mondiali).”[5]
E’ questo che afferma l’idea Simbolista e
Tradizionalista? Che bisogna dare
spessore ai testi che altrimenti resterebbero storie di avventura e nulla più? Che non si spiegherebbe un successo mondiale
di quasi cento anni se non fosse extraletterario ?
…extraletterario?
E Pinocchio? Non è il libro più tradotto dopo i
testi sacri? Omero? Non è letteratura scritta da circa duemilasettecento anni?
Dante Alighieri? Shakespeare? Edgar
Allan Poe? Jules Verne? Dostoevskij,
Bram Stoker? Cervantes? Dikens? Jane
Austen, Tolstoy? Hemingway, George Orwell, Via col Vento o il Mago
di Oz? Tom Sawyer, Petrarca, Ariosto? E
tutti gli altri?
Praticamente la stessa definizione di ‘classico’
invalida (ridicolizza?) questa chiave di lettura in cui si agita lo spettro
dell’ignoranza italiana alla lettura d’evasione, una società che non ha mai
realmente mai sposato il libro.
Una storia che funziona e piace a svariate
generazioni nel mondo diventa un classico della letteratura senza avere bisogno
di altro.
Se poi dovessimo, noi, uscire dall’ambito
letterario allora sarebbero dolori, come collocare nella Tradizione le icone
della modernità che stanno compiendo un secolo: per esempio Elvis, Topolino e
Paperino, Soopy, Dick Tracy, Superman, Spiderman, Marylin Monroe, Jim Morrison,
Humphrey Bogart, i Beatles, devono forse la loro fama centenaria a causa di un
qualche Sovrasenso filosofico o semplicemente hanno la forza e la fortuna per
intrattenere ed emozionare più di una generazione?
Ai lettori l’ardua sentenza…
***
A questo punto mi sembra importante volgere una
domanda ai sostenitori dell’interpretazione simbolica di Tolkien.
Perché cercare simboli e radici nella Terra di
Mezzo? L'interpretazione simbolica del fantasy è una tendenza solo italiana, ma
allora perché disturbare Tolkien? Noi non abbiamo piuttosto radici simboliche
mediterranee e italiche? Quelle sì che non gelano, il materiale nordico a cui
si rifà Tolkien è successivo al corpus letterario, mitologico e simbolico
mediterraneo, quando non germogliato dalle ceneri dell'immaginario greco
romano, e quindi non vi sembra idiota, da italiani cercare radici in Tolkien?
I contenuti della mitologia e della letteratura
nord europea vennero redatti e diffusi per la prima volta con Giulio Cesare nel
‘De Bello Gallico’ o giù di li. Siamo nel I secolo a.C, la letteratura cortese
nordica che ispirerà Tolkien è successiva e neanche di poco.., il Beowulf è del
VIII secolo d. C., l’Edda di Snorri Sturluson è del 1100 d.C., cioè questa roba
ha visto forma scritta quando l’antichità mediterranea, le radici vere, era già
tramontata, moltissimi motivi letterari della letteratura mediterranea
greco-romana, sono ri-diventati materia della tradizione orale medeivale
germanica e poi di nuovo redatti dopo il mille.
Cioè: noi latini probabilmente abbiamo scritto poemi letterari come
fiction, che poi sono diventati mitologia per i germani.
Sembra un racconto ucronico di Philip K. Dick.
Perché disturbare Tolkien quando abbiamo a
disposizione Omero, Esiodo, Virgilio, i tragici greci, Lullo, Cusano, Dante, Petrarca,
Sant’Agostino e i padri della chiesa?
Insomma abbiamo le fonti originali del mito e della
cultura occidentale, abbiamo le opere più elevate e complesse della letteratura
e della filosofia medievale, e cerchiamo ristoro metafisico e spirituale nel povero
Tolkien che afferma espressamente che da lui non c’è trippa per gatti e di non
cercare significati più profondi? Che lui fa solo intrattenimento poetico?
Invece di mettere cappelli simbolici a Frodo, fate
uno sforzino, leggete un po’ di più e metteteli a Minosse, a Orfeo, Enea,
Caronte. Lasciate stare i poveri hobbit.
Attendiamo una risposta, intanto speriamo in un
prossimo convegno letterario su Tolkien dopo la fantastica riuscita di quello
di Modena a maggio 2010.
***
Un antipasto hobbit: le
chiavi pe capire Tolkien.
Per entrare nel merito di Tolkien,
l’interpretazione simbolica semplicemente non funziona neanche come utilizzo di
elementi del mito e della tradizione (con la minuscola o la maiuscola). Basta
guardare con attenzione e masticare un poco di mitologia per vedere come
Tolkien sistematicamente sostituisca con la propria poetica il senso dei
temi e delle figure letterarie cosicché quasi ogni forma perde il suo
significato originale e mitico e ne prende uno ‘tolkeniano’, e forse proprio
questa è la forza della Terra di Mezzo, che ha un suo senso profondo, ben
diverso dal mito da cui origina e che parla di noi, uomini e donne della
contemporaneità.
Tolkien, come aveva fatto con le lingue germaniche
per creare l’elfico, anche per i significati prende, crea e plasma, sposta e
ricolloca tutto in un personale affresco, in una poetica pura e semplice,
certamente dal carattere spirituale e poetico suo personale..
Tolkien crea una sintesi tra la sospensione poetica
e lirica con l’epica avventurosa valoriale, ed etico-morale. I valori di base
sono quelli dell’autore e non quelli della Tradizione. Tolkien era un credente
cattolico dalla profonda spiritualità, ma lo scopo non è semplicemente
evangelico, Tolkien filtra tutto il suo mondo interiore valoriale e culturale e
personale per creare un’opera di portata superiore alla mera somma delle parti,
per questo l’analisi biografica (che lui peraltro aborriva) fornisce elementi
utili ma parziali. Per comprendere meglio sciogliamo per un attimo questa
treccia di poesia ed epica.
Il cuore poetico dell'opera Tolkeniana.
Nel 1913 Tolkien sostenne che contemplare Venere, “the
morning star” gli provocava “un curioso palpito, come se in me si rimescolasse
qualcosa, risvegliato per metà da un sonno”[6].
Certo è, che un seme fondante per tutta la sua opera fu una
riga, tratta dal Crist di Cynewulf, una raccolta di poemetti sacri
anglosassoni: Eala Eärendel engla beorhtast, (il viaggio di Eärendel stella
della sera).
Tolkien dedusse che Eärendel fosse proprio la morning star e
ritenne che di aver scoperto la radice di un mito originale anglosassone nella
fiaba nordica che associa la stella del mattino al marinaio eroico Orentil; più
tardi scrisse: “dietro quelle parole c’era qualcosa di molto remoto, strano e
meraviglioso, se avessi potuto coglierlo, molto dietro l’antico inglese”[7].
Da questi versi il giovane Tolkien trasse un componimento suo che iniziava
così:
“Sorse Eärendel dove la tenebra fluisce
Dell’Oceano alla riva silenziosa;
Per la bocca della notte, quasi raggio che lambisce
La costa dov’è pallida e scoscesa
Lanciò la barca come scintilla d’argento
Dalla sabbia estrema e solitaria;
E alle brezze del giorno che muore in un incendio
Egli salpò dall’Ovestlandia. [8]
Dopo aver scoperto questo nome e suono, Eärendel, che come
una stella brillava dal profondo buio dei secoli e dopo averlo assimilato
secondo il proprio modo, l’autore iniziò a creare un mondo o una versione
tolkeniana del mondo, come se lo scoprisse da dentro di sé, per donarlo a
Eärendel, ed a sé stesso, in un processo di costruzione che durerà per tutta la
sua vita.
Questa componente emozionale è l’aspetto più intimamente
poetico di Tolkien scrittore e sarà costante, in tutta l’opera e con essa, da
questa matrice poetica nasce il lirismo legato alle stelle e quindi agli elfi,
uno degli architravi dell’epica fantasy tolkeniana e non. Quindi la Terra di
Mezzo sembra scaturire per colmare un abisso contemplativo e prende forma,
dapprima nella lingua, poi nei popoli ed infine nelle gesta.
Il cuore epico dell'opera
tolkeniana.
Principalmente la terra di mezzo è un luogo dove si
operano scelte etiche e morali, dove si contrasta il male soverchiante tramite
l’offerta di sé. La Subcreazione[9] rispecchia le
dinamiche etiche di scelta, grazia e caduta del mondo primario, come azzecca
Zolla nell’introduzione all’edizione italiana:
“Infatti ci vuol
poco a sentire che egli sta parlando di ciò che tutti affrontiamo
quotidianamente negli spazi immutevoli che dividono la decisione dal gesto, il
dubbio dalla risoluzione, la tentazione dalla caduta o dalla salvezza. Spazi,
paesaggi uguali nei millenni, ma da lui riscoperti in occasioni prossime a
quelle che noi stessi abbiamo conosciuto.”
‘Ci vuol poco a sentire’ ma nell’Italia politicizzata e nel mondo
‘degli adulti’ di trent’anni fa non c’era verso di accettare questo tipo di
opera d’intrattenimento ‘in costume’, che tratta di tematiche chiare, epiche,
umane e spirituali.
Una
chiave per leggere in modo preciso l’aspetto etico relativo alle gesta nella
Terra di Mezzo, ce la dà l’autore:
“Ma, naturalmente, se desidera una riflessione più
profonda, dirò che all’interno del tipo di storia, la «catastrofe » esemplifica
(per un aspetto) le parole familiari: «Perdona i nostri nemici come noi
perdoniamo chi ci ha offeso. Non indurci in tentazione, ma liberaci dal male».
«Non indurci in tentazione ecc.» è la richiesta più dura e meno spesso considerata. L’idea, all’interno della mia storia, è che nonostante ogni avvenimento e ogni situazione abbiano (almeno) due aspetti: la storia e lo sviluppo dell’individuo (è qualcosa da cui possiamo ricavare del bene, del bene definitivo, per lui stesso, o non riuscirci), e la storia del mondo (che dipende dalle sue azioni per il suo stesso bene) — ci sono tuttavia situazioni anormali in cui uno può trovarsi.”[10]
«Non indurci in tentazione ecc.» è la richiesta più dura e meno spesso considerata. L’idea, all’interno della mia storia, è che nonostante ogni avvenimento e ogni situazione abbiano (almeno) due aspetti: la storia e lo sviluppo dell’individuo (è qualcosa da cui possiamo ricavare del bene, del bene definitivo, per lui stesso, o non riuscirci), e la storia del mondo (che dipende dalle sue azioni per il suo stesso bene) — ci sono tuttavia situazioni anormali in cui uno può trovarsi.”[10]
Siamo di fronte ad uno schema che parte da precisi spunti
cristiani per dar forma ad un motivo letterario coerente in una poderosa messa
in scena universalmente valida: al soggetto è dato liberamente il potere di
compiere il bene nel proprio contesto (rimettere
i debiti), così facendo si predispone a ricevere la grazia divina (avere
i propri debiti rimessi) necessaria per vincere il male universale che
“cristianamente” in Tolkien è superiore alle forze dell’individuo da solo (non ci indurre in tentazione ma liberaci dal male).
Di draghi e di hobbit
Altri motivi tolkeniani partono sempre dalla stessa matrice
leggendaia e ma vengono dotate di un nuovo significato cristiano personale.
Vediamone alcuni spunti:
Gli
ultimi diventano i primi: gli hobbit, ignorati dalla storia epica della Terra
di Mezzo salvano il mondo al posto e meglio dei grandi eroi del mito diventano
il sassolino che inceppa l’ingranaggio epico della guerra al male fatta con le
spade e gli eserciti, in questo senso Tolkien stesso relega le gesta guerresche
sullo sfondo stemperandone molto l’importanza pur mantenendo il carattere
avventuroso ed evocativo. Frodo dopo la
caduta del “politico” Boromir compie un viaggio all’insegna della privazione
che “di fatto” sabota il meccanismo epico, degli eroi e dei cavalieri.
Grande
significato che non esisteva nelle leggende è la capacità di donarsi per il
bene di chi si ama (frodo-sam, arwen-aragorn, beren-luthien), che il male si
sradica attraverso l’amore profondo ed il donarsi indiscriminatamente a
dispetto della forma e dell’appartenenza e delle convenzioni.
Principalmente
Tolkien parla del pericolo del potere e della caduta inesorabile di chi opera
dissociandosi dai legami profondi ed umani col prossimo, calpestando gli altri
per promuovere un ordine generale (Sauron), sia di chi si inchina all’avidità
della modernità diventando tecnocrate (Saruman) altro tema sconosciuto al mito
e all’antichità.
Le
stesse creature mitologiche che nella tradizione sono interlocutori dell’eroe,
soggetti narrativi indipendenti e impregnati dei modi, dei valori e degli scopi
tipici delle genti e delle epoche in cui
vengono usati nei miti e nelle fiabe, in Tolkien vengono riempiti di senso nuovo
e collocati nella sinfonia generale.
Le
grandi aquile diventano deus ex machina, strumento della grazia, (più in senso
manzoniano che nordico), gli elfi tradizionalmente creature dell’altrove ctonio
o fantastico, ma comunque minaccioso, diventano metafora della creatività ,
entità del fare e della hybris, partecipi della creazione, inventori del
linguaggio ma invidiosi del dono della morte e dei misteri dell’aldilà fatto
agli umani. Gli orchi sono gli oggetti
del male, realizzati pasticciando biologicamente con gli elfi per offendere la
creazione. L’anello perde presto ogni significato della tradizione scandinava o
medievale di lealtà e sugello e diventa caratteristica del male che opera
dissolvendosi negli oggetti in quanto esso è sterile e incapace di
moltiplicarsi tramite il dono di sé. La lista sarebbe lunga ma il professore di
Oxford ha scritto tanto sulle sue cose cambiando spesso anche il senso di
quanto aveva scritto anni prima. Basta avere la pazienza e la chiarezza di
prestare orecchio alle sue parole.
Il
“Signore degli Anelli” e “Lo Hobbit” sono opere d’intrattenimento e d’evasione
nel senso che abbiamo spiegato, il resto del materiale a parte poche cose,
erano scritti intimi di uso “personale” che certo l’autore non avrebbe
pubblicato. Tutto parla di un percorso dell’esistenza sulla sospensione poetica, sulla nostalgia del tempo perduto e sulla
scelta tra bene e male, il risultato generale è una messa in scena tra le
più belle e accurate della storia della letteratura.
Mi
sembra evidente che non attacco l’interpetazione tolkeniana di una certo
pensiero italiano di destra per spostare in qualche modo l’asse verso una
qualche “sinistra”; semplicemente va detto chiaramente che il conservatorismo
normale e “monarchico parlamentare” di Tolkien è ben lontano dal
Tradizionalismo nazistoide e sulfureo derivato da Evola e che non ci non si può
forzare nell’interpretazione delle opere sulla terra di mezzo se non
distanziandosi dall’autore stesso. Il mio interesse è lontano dalle questioni
politiche in letteratura e dedicato principalmente a temi di cultura
letteraria, mediatica e popolare. Questo
mio piccolo omaggio parla di critica letteraria, anche se ‘alla carlona’, e mi
scuso, fin da ora per l’impertinenza che non voleva essere offensiva, ma è
mirata tracciare un quadro verosimile e a tratti esagerato solo per spalancare
ulteriormente le finestre e contribuire anche di poco ad una approccio più
testuale a Tolkien in un epoca in cui la materia la fantasia per adulti è una
questione globale sperando che anche in Italia si cominci finalmente a mettere
al centro l’opera anziché questioni socio-politco-mondane. Indubbiamente se
l’interpretazione simbolica avesse dei fondamenti ancorati, in qualche modo al
testo letterario o agli scritti dell’autore, certi miei appunti non potrebbero
fare che bene al dibattito.
Daniele Marotta.
[1] Ovviamente il Fantasy non è mai
stampato in modo organico in italia e non è mai stato oggetto di alcuna critica
letteraria, non è mai stato stampato tutto quanto precedette Tolkien e lo
ispirò come per esempio le numerose opere di William Morris, che era
socialista e vedeva la risposta alla modernità nell’età dell’oro del lavoratore
rappresentato, per lui, dalle
corporazioni medievali. Quindi la destra filosofica ne ne è potuta impossessae
nel disinteresse generale.
[2] In italia, in J.R.R.TOLKIEN, Albero e Foglia,
Milano Rusconi, 1984.
[6]
DAVID DAY, The World of Tolkien, Mithological Sources of The Lord of he Rings, Mitchell
Beazley an imprint of Octopus Publishing Group Limited, London 2003.
[7]
The World of Torlkien; Op. cit.
[9] Termine coniato da Tolkien, la realizzazione di un
autore nel creare un proprio microcosmo letterario coerente, che celebri i principi
etici della creazione primaria: il mondo reale. Questa specularità tra l’epica
fantasy e l’etica cristiana distingue la sub-creazione di Tolkien dai
‘secondary worlds’ precedenti come quelli di William Morris, Lord Dunsany o Eric Rücker Eddison.
[10] J.R.R.TOLKIEN, La realtà in trasparenza, lettere
1914-1973, Milano, Rusconi, 1990, Lettera 181.
Nessun commento:
Posta un commento