“Il fumetto ‘Maria e il Buio’ […] è già destinato a rappresentare una luce alla fine del tunnel dell’epidemia che sta attanagliando anche la nostra città.” Riccardo Bruni ‘La Nazione’
“Qui dentro c’è tutto, un lavoro finalmente fuori da ogni retorica […] c’è la volontà di far respirare il mondo, …” Massimo Biliorsi ‘La Nazione’
“Maria e il buio”, l’ultimo graphic novel di Daniele Marotta, fondatore e direttore della Scuola di Fumetto e Scrittura di Siena, si presta a diverse possibili letture, sebbene la trama risulti lineare ed estremamente semplice, al punto da essere perfettamente racchiusa dentro l’incipit: “Un giorno il buio decise che voleva mangiarsi una bambina, ne trovò una di nome Maria”. Un proposito, questo del buio, che è all’origine della fuga di Maria attraverso i territori delle diciassette contrade cittadine. Tuttavia, i significati che la vicenda pare suggerire – alla luce e dei testi e delle immagini – appaiono molteplici, senza che l’uno escluda completamente l’altro: la pregevole prefazione di Duccio Balestracci e la pregevole postfazione di Katiuscia Vaselli sono lì a confermarlo. Da parte mia, avanzo quattro interpretazioni di “Maria e il buio”, che, concentrandomi sul secondo elemento della coppia richiamata dal titolo, potrei sintetizzare in questo modo: 1) il buio come metafora delle paure dei bambini 2) il buio come metafora delle angosce degli uomini 3) il buio come metafora delle preoccupazioni dei Senesi 4) il buio come metafora del processo creativo. 1) Il buio per il bambino è fonte di spavento, dal momento che determina la sparizione del suo piccolo mondo, fatto di presenze familiari, di cose visibili e rassicuranti, di luce, e lo sostituisce con una realtà che lo disorienta e lo turba, perché del tutto sconosciuta. Ma il “totalmente sconosciuto”, il “potenzialmente pericoloso e ostile” esiste solamente nella mente del bambino, non ha, cioè, una consistenza oggettiva. In quest’ottica, “Maria e il buio” è un graphic novel che rinviene il suo tema di fondo nella crescita che passa per l’attraversamento, non l’elusione, dell’ombra. 2) Nei grandi, però, il buio, nel corso degli ultimi due anni, ha assunto le sembianze della paura legata al Covid, che ha generato e diffuso un profondo senso di angoscia. Angoscia, come è noto, è parola che, etimologicamente, suggerisce l’idea di chiusura, di angustia. E in effetti è come se in questi mesi il tempo e lo spazio avessero subito un restringimento. Da un lato, infatti, la percezione della pandemia come stato di emergenza ha finito col concentrare ogni risorsa e interesse sul presente (al fine di trovare una possibile soluzione o una possibile convivenza col virus), cancellando nell’individuo ogni progettualità: non viene di pensare al futuro (e la progettualità si alimenta sempre del futuro), quando la situazione che si sta vivendo appare drammaticamente eccezionale e, forse, irreversibile e irrimediabile. Dall’altro, la difficoltà negli spostamenti, e da regione a regione e da nazione a nazione, ha rimpicciolito lo spazio di vita e d’azione delle persone. “Maria e il buio”, da questo punto di vista, è una convinta affermazione di fede nella natura transitoria, non permanente, del lungo momento che il mondo intero sta attraversando: il mondo di ciascuna persona tornerà a essere vasto e sconfinato. 3) A Siena le restrizioni che hanno interessato eventi, feste, festival, manifestazioni pubbliche, hanno causato la cancellazione di ben quattro carriere paliesche. Ora, non scordiamocelo, “Maria e il buio” è ambientato a Siena. Non solo, ma il nome della protagonista rimanda alla città del Palio. Siena, infatti, è la città della Vergine, è la città della Santissima Madre. Di conseguenza, che a salvare Maria dal buio siano le diciassette contrade – ciascuna riesce, a modo suo, a proteggere e difendere la bambina nel corso della fuga dal buio – significa che la contrada è sempre vicina ai suoi figli: dinanzi alla sofferenza, sia quella individuale sia quella della comunità intera, il senese non è mai solo, sin dalla nascita, fino alla morte: granitica certezza in una fase storica dove tutto appare fragile e incerto. 4) Il buio è per chi scrive e, nel caso di Daniele Marotta, per chi disegna, metafora di quella che Ernesto Sabato chiama “scrittura notturna”, che convive accanto a quella “diurna”. E se questa è fatta di consapevolezza, giudizio, pensiero, speranza, la prima, invece, dà voce alle esperienze sepolte e dimenticate nei sottoscala dell’anima, alla follia, ai deliri di eros, ai fiori del male e della notte. Alla luce di questa lettura, “Maria e il buio” appare allora come un immersione nell’inconscio, che per un artista è un serbatoio di contenuti e umori, ai fini della creazione, non meno importante della coscienza: i fantasmi che ci abitano, finché non prendono la forma di una pagina o di un disegno o di un dipinto, possono anche ucciderci. Quelli che seguono sono due passi tratti, rispettivamente, dalla prefazione di Duccio Balestracci e dalla postfazione di Katiuscia Vaselli.
“Non avere paura del buio, Maria. Il buio non è altro che una sospensione momentanea della luce, una pausa per far riposare gli occhi e l’anima. Il buio è quiete, è attesa. Ma il buio, sì certo, ti capisco, è anche cancellazione delle cose, della realtà: è vuoto della vista e della percezione. E allora, sì, può succedere che il buio inquieti, perché azzera ciò che si conosce, cancella ciò che nella normalità illuminata si abbraccia con lo sguardo. E allora sì, può succedere, piccola Maria, che l’anima e, per lei, il cervello (l’anima non si sa bene che cosa sia, di preciso: il cervello sì. È il computer che elabora e riscrive le percezioni e le trasforma in sensazioni) inventino cose per riempire il vuoto. Cose che possono essere inquietanti, e che possono perfino far paura”.
“È sorprendente come questo fumetto sia riuscito in pochi minuti a farmi attraversare le paure come se io fossi la protagonista della storia ed è sfogliandolo che si capisce quanto questa sia la formula giusta al momento giusto: siamo nudi di fronte a una pandemia che fa paura ma solo se siamo uniti possiamo davvero attraversarla e uscirne. Dopo due anni di parole, servizi giornalistici, documentari, tv, scienziati e virologi, no vax e complottisti, un fumetto è quello che serviva per spalancare davvero a noi stessi le porte di noi stessi”
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